13.4.11

C’era una volta il design italiano


Ho deciso di ripubblicare questo post apparso su Futurix il 13.12.08, perché ancora d’attualità in occasione della Milan Design Week che si svolge in questi giorni…
Dalla macchina da scrivere Valentina Olivetti di Sottsass, la radio Brionvega di Zanuso e Sapper, la lampada di Magistretti e la calcolatrice Olivetti di Bellini, al cellulare di Prada per LG, quello di Diane Von Fustenberg targato Samsung e il modello di Versace per Nokia, il televisore di Armani per Samsung, e ciliegina sulla torta, il decoder di SKY griffato da Fendi: il braccio lungo della moda sul design moribondo. Nell’ultimo esempio col logo Fendi riprodotto come nelle borse Louis Vuitton, si sfiora il ridicolo. Sono mere operazioni di marketing rese ancora possibili da una fetta di consumatori, che per pigrizia o incapacità di scegliere un prodotto per le sue reali qualità intrinseche, si nascondono dietro un’etichetta, una griffa, pensando così di omologarsi facendo parte di una qualche tribù. Consumatori che evidentemente non hanno preso ancora coscienza, della ribellione in atto contro il nostro mondo di etichette, descritto da Naomi Klein nel suo bestseller No Logo, che sottolinea giustamente che “La vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza”. Complici anche le aziende che si prestano a queste alleanze di convenienza contro natura. Avete mai visto l’Apple, la Philips o la Dyson fare griffare i propri prodotti da stilisti di moda? Ma cosa c’entra la moda col design? La moda è effimera, il design è pensato per durare. “Non c’è come la moda per passare di moda” diceva Bruno Munari, e per Orson Welles “La moda è talmente brutta che bisogna rifarla ogni anno”. Gli stilisti di moda applicano il principio dello styling, ovvero di “vestire” un prodotto, appiccicando nel peggiore dei casi una decorazione, e soprattutto la loro griffa, l’intervento è superficiale. Il design invece è progettazione e innovazione, non disegno, decorazione o maquillage. Il design è strutturale, e procede dall’interno del prodotto verso l’esterno, tenendo conto dalla funzionalità, dalla semplicità d’uso, dall’ergonomia, senza dimenticare la sostenibilità e il riciclo, ovvero appunto, la sostanza contro l’apparenza. “Le soluzioni basilari e essenziali non passano mai di moda; il resto è styling» diceva Bruno Munari.
Il patrimonio culturale del design italiano riconosciuto in tutto il mondo, per la sua creatività e inventiva si sta dilapidando. Da Milano capitale del design a Milano Città della moda! Ma perché il mondo del design non reagisce? E’ un chiaro segnale di fine regno: le mostre di design sono per lo più retrospettive, rivolte al passato, per non parlare dei musei, perché purtroppo il presente non c’è più! Non parlo del settore dell’arredamento, in cui il design s’identifica troppo spesso a torto, ma della produzione industriale a 360°. Viviamo in un’epoca di gran confusione. Purtroppo c’è molta imprecisione nella terminologia e nei concetti riguardo al design, da parte anche della stampa e dei media, che incoronano gli addetti dell’apparenza.
Dov’è finito il design italiano? E’ diventato un optional, non solo per la mancanza di rigore dei designer, ma per la latitanza delle piccole e medie imprese italiane. In tempo di crisi economica il design è visto solo come un costo, anziché un investimento, e non fa più parte della strategia aziendale. Non c’è più la voglia di rischiare e di innovare. Il sociologo Francesco Alberoni in un suo editoriale per il Corriere della Sera, diceva che non può esserci industria se muore il gusto della lotta. “In Italia abbiamo bisogno d’imprenditori” spiegava Alberoni “non di affaristi, di finanzieri, di manager che cercano un profitto a breve, ma di veri imprenditori che amano il prodotto e lo perfezionano”. Aspetto i vostri commenti!

5 commenti:

Anonimo ha detto...

io ne al salone ne al fuori ho visto il design italiano....ci sono tutti i paesi del mondo...tanti..ma non c e spazio per gli italiani, l italia non si sente....

dandia ha detto...

Grazie per il contributo dato da questo post, che inquadra molto bene la crisi del design italiano.
Purtoppo temo che in un'epoca di crisi economica come la nostra non possano emergere eccellenze imprenditoriali capaci di dar vita ad una rinascita del design.
Quello che è avvenuto in Italia qualche decennio fa è stato frutto dello spirito positivo e propositivo di chi viveva con entusiasmo un fortunato periodo di crescita economica, unito ovvamente al buon gusto e alle capacità di alcune personalità di spicco.
E' difficile pensare ad un raggiungimento di risultati analoghi con le condizioni attuali.

Walter Vannini ha detto...

ma le condizioni attuali non passano se quelli che si fano chiamare "imprenditori" non iniziano a "imprendere", anziché stare alla finestra ad aspettare che passi la nottata...

Christian de Poorter ha detto...

In risposta ad Anonimo:
Al Salone, la maggior parte delle aziende presenti erano italiane, e le proposte erano in gran parte devote all'apparenza e alla trasgressione.
E così lo stupore a tutti i costi genera stupidità!
Questa tendenza non va da nessuna parte, anzi mi fa pensare proprio al canto del cigno!
Il raggio d'intervento del design industriale non è solo, come appare in Italia, mobili, lampade e oggetti, ma bensi la produzione industriale a 360°, e in questa area, l'Italia del design è proprio latitante.
Christian (Futurix)

Anonimo ha detto...

non parlavo di aziende italiane...design italiano..firme italiane..hai visitato il satellite? quanti italiani c' erano? e quest' anno ricorreva oltre che il 50° del Salone del Mobile di Milano (italia) anche il 150° sull' unità d' Italia...bisogna investire sugli italiani..le aziende italiane se vogliono parlare veramente di made in Italy e tutte le caxxate che dicono che investano sugli italiani..giovani medi famosi vecchi..ma italiani! poi ci lamentiamo che all' estero fanno meglio...e ci credo se non crescono i giovani italiani...concludo come te..l' italia del design è latitante..ovvio se si continua così..