C’era una volta il design italiano
Dalla macchina da scrivere Valentina Olivetti di Sottsass, la radio Brionvega di Zanuso e Sapper, la lampada di Magistretti e la calcolatrice Olivetti di Bellini, al cellulare di Prada per LG, quello di Diane Von Fustenberg targato Samsung e il modello di Versace per Nokia, il televisore di Armani per Samsung, e ciliegina sulla torta, il decoder di SKY griffato da Fendi: il braccio lungo della moda sul design moribondo. Nell’ultimo esempio col logo Fendi riprodotto come nelle borse Louis Vuitton, si sfiora il ridicolo. Sono mere operazioni di marketing rese ancora possibili da una fetta di consumatori, che per pigrizia o incapacità di scegliere un prodotto per le sue reali qualità intrinseche, si nascondono dietro un’etichetta, una griffe, pensando così di omologarsi facendo parte di una qualche tribù. Consumatori che evidentemente non hanno preso ancora coscienza, della ribellione in atto contro il nostro mondo di etichette, descritto da Naomi Klein nel suo bestseller No Logo, che sottolinea giustamente che “La vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza”. Complici anche le aziende che si prestano a queste alleanze di convenienza contro natura. Avete mai visto la Apple, la Philips o la Dyson fare griffare i propri prodotti da stilisti di moda? Ma cosa c’entra la moda col design? La moda è effimera, il design è pensato per durare. “Non c’è come la moda per passare di moda” diceva Bruno Munari, e per Orson Welles “La moda è talmente brutta che bisogna rifarla ogni anno”. Uno studente della Nuova accademia delle belle arti di Milano (Naba) sosteneva mordicus recentemente che “il design è moda”: la contaminazione sta producendo già i suoi effetti perversi nelle giovani menti. Gli stilisti di moda applicano il principio dello styling, ovvero di “vestire” un prodotto, appiccicando nel peggiore dei casi una decorazione, e soprattutto la loro griffe: l’intervento è superficiale. Il design invece è progettazione e innovazione, non disegno, decorazione o maquillage. Il design è strutturale, e procede dall’interno del prodotto verso l’esterno, tenendo conto della funzionalità, della semplicità d’uso, dell’ergonomia, senza dimenticare la sostenibilità e il riciclo, ovvero appunto, la sostanza contro l’apparenza. Il patrimonio culturale del design italiano riconosciuto in tutto il mondo per la sua creatività e inventiva si sta dilapidando.
Da Milano capitale del design a Milano Città della moda! Ma perché il mondo del design non reagisce? E’ un chiaro segnale di fine regno: le mostre di design sono per lo più retrospettive, rivolte al passato, per non parlare dei musei, perché purtroppo il presente non c’è più! Non parlo del settore dell’arredamento, in cui il design si identifica troppo spesso a torto, ma della produzione industriale a 360°. Viviamo in un’epoca di gran confusione. Purtroppo c’è molta imprecisione nella terminologia e nei concetti riguardo al design, da parte anche della stampa.
Dov’è finito il design italiano? E’ diventato un optional, non per incompetenza dei designer ma per la latitanza delle piccole e medie imprese italiane. In tempo di crisi economica il design è visto solo come un costo, anzichè un investimento, e non fa più parte della strategia aziendale. Non c’è più la voglia di rischiare e di innovare. Il sociologo Francesco Alberoni in un suo editoriale del 2004 per il Corriere della Sera, diceva che "Non può esserci industria se muore il gusto della lotta". “In Italia abbiamo bisogno di imprenditori” spiegava Alberoni “non di affaristi, di finanzieri, di manager che cercano un profitto a breve, ma di veri imprenditori che amano il prodotto e lo perfezionano”. Aspetto i vostri commenti!
Da Milano capitale del design a Milano Città della moda! Ma perché il mondo del design non reagisce? E’ un chiaro segnale di fine regno: le mostre di design sono per lo più retrospettive, rivolte al passato, per non parlare dei musei, perché purtroppo il presente non c’è più! Non parlo del settore dell’arredamento, in cui il design si identifica troppo spesso a torto, ma della produzione industriale a 360°. Viviamo in un’epoca di gran confusione. Purtroppo c’è molta imprecisione nella terminologia e nei concetti riguardo al design, da parte anche della stampa.
Dov’è finito il design italiano? E’ diventato un optional, non per incompetenza dei designer ma per la latitanza delle piccole e medie imprese italiane. In tempo di crisi economica il design è visto solo come un costo, anzichè un investimento, e non fa più parte della strategia aziendale. Non c’è più la voglia di rischiare e di innovare. Il sociologo Francesco Alberoni in un suo editoriale del 2004 per il Corriere della Sera, diceva che "Non può esserci industria se muore il gusto della lotta". “In Italia abbiamo bisogno di imprenditori” spiegava Alberoni “non di affaristi, di finanzieri, di manager che cercano un profitto a breve, ma di veri imprenditori che amano il prodotto e lo perfezionano”. Aspetto i vostri commenti!
13 commenti:
perfettamente d'accordo!!!
Io sono giovane...sia per esperienza nel campo sia per l'età,
ma sono in grado di avvertire la superficialità che prende piede nella testa della gente rispetto al design.
eVo
I tempi sono profondamente cambiati. Ognuno si taglia la propria informazione e formazione scegliendo le fonti che preferisce fra le migliaia disponibili in rete o presso le decine di scuole di "Design" in giro per il mondo. Parlare di design Italiano, Olandese, Inglese, mi sembra anacronistico.
Siamo in una profonda crisi per mancanza di RICERCA, INNOVAZIONE, IDEE.
La crisi dell'auto è un altro emblematico segnale di crisi dell'intero sistema.
La "pelle" griffata per dare valore a prodotti uguali a tanti altri mi sembra lo stesso giochino che i politici fanno con i loro provvedimenti, di facciata, senza molta sostanza, ad uso di spettatori acritici.
Quoto al cento per cento ett!!!
La gente non ha più cultura in ambito. Ce una forte mancanza di conoscenza del concetto stesso di design.
Come nella vita quotidiana ci vorrebbe un po' di coscienza.
La superficialità ci invade e distrugge anche il mondo lavorativo.
La soluzione però è umana, non tecnologica.
Saluti e complimenti.
Dieter Rams (Wiesbaden, 20 maggio 1932) è un designer tedesco.
La sua immagine è legata soprattutto alla Braun. Molti suoi lavori sono esposti nei musei di tutto il mondo come al Moma di New York.Pare che la sua filosofia progettuale sia stata fonte di ispirazione per Jonathan Ive, capo designer alla Apple.
Dal suo decalogo del buon design (1990?) cito gli ultimi due punti:
9... Sobrietà (usiamo solo il design che occorre,recuperando semplicità, purismo)
10...Discrezione (i prodotti devono essere il più possibile neutrali e “riservati”,
lasciando spazio per esprimersi a chi li usa).
Si può parlare allora di etica morale del design? Mi sembra che il prodotto quasi incapace di comunicare ciò che rappresenta di sè, assume prendendola a prestito, una nuova personalità. La stessa mette in trasparenza la prima aumentando così l’appeal grazie a segnali che identificano prioritariamente il significato del segno (marchio) e non del contenuto. Si fa volutamente confusione. C’è l’incapacità di discriminare, incapacità di esprimere la propia personalità non più colta, che si illude di esserla con l’ostentazione di un marchio. La moda sta entratando di prepotenza nel mondo del design non per accentuarne il valore con la ricerca ma vestendolo con i suoi marchi eludendo i concetti canonici del progetto. Non ci sono mediatori culturali preposti e preoccupati.
Pensiamo agli orologi da polso di Cavalli, Dolce e Gabbana ecc...si nota prima l’orologio o l’ora?
E’ un momento di decadenza? Si! E’ come a Milano. Guardatela dal basso e contate a quanti edifici storici hanno messo un nuovo “cappello” di rialzo della statura, spesso simile al sarcofago di Cernobil.
Se l’operazione è stata consentita vuol dire che è bella. E l’operatore (culturale ?) esecutore è anche garante con il suo indelebile segno a trasmettere segnali inquinanti e propedeutici di futuro prossimo.
Chi scrive non è un un addetto ai lavori.
Mi piace molto questo sito perchè ogni volta (attraverso gli oggetti/progetti/idee presentati) è come aprire una finestra verso un mondo alternativo, un mondo come forse non sarà mai, ma come potrebbe essere. Ed è sempre un mondo migliore di quello reale. Ci trovo anche una dimensione quasi onirica in certe idee...è forse questo il problema?
Forse non c'è più tempo/voglia/pazienza di sognare?
Grazie e Buon Lavoro
Ero passato per dei superficiali auguri, ma il tuo post mi obliga a soffermarmi su quanto hai scritto.
È evidente il fatto che ormai il design è estromesso dal design stesso. Fine analoga ha fatto l'architettura. Tanto che un libro dal titolo "contro l'architettura" è incentrato per lo più su questioni sociologiche ed urbanistiche. Cosa vuol dire questo? L'esondazione in tutti i campi del sapere delle cosìdette "scienze molli" (antropologia, comunicazione, sociologia, la politica soprattutto, eccettera)ha diviso in qualche modo sull'approccio da adottare alla progettazione: da una parte gli entusiasti, che poi sono diventati la gran massa, hanno approcciato ad un fare che esula il fare, tipico del marketing. Un esempio buono è proprio il decoder sky/fendi che citi (di cui tra l'altro, nel tuo libro, ve ne sono molte, essendo l'approccio dominante ormai). D'altra parte però, chi invece prende posizioni reazionarie, immergendosi nella pura progettazione, finiscono per avere dei risultati insignificanti.
Vi è poi un cuscinetto tra questi due, che però non è di grande interesse (il solito nè pesce e nè carne). Occorre trovare delle alternative non reazionarie a questo fenomeno. E non mi pare affatto facile. Ma proprio per questo è stimolante...
PS: Auguri! :)
Come dici tu, il design italiano oggi è autoriferito, trae preziosi spunti dal passato per sopravvivere, mentre altre realtà più dinamiche emergono prepotentemente...lavorando nel marketing confermo la miopia di molte aziende incapaci di costruire qualcosa di più dei risultati annuali (da cui spesso derivano queste scelte di breve...). Nel marketing si parla sempre di posizionamento, ossia della capacitài di esprimere chiaramente "what does the brand stand for", che cosa rappresenta la marca, quali valori vuole esprimere. Queste scelte non solo non portano da nessuna parte ma danneggiano i valori di una marca, il suo patrimonio iconografico.
Le aziende, i designer, dovrebbero guardarsi indietro non per copiare ma per e fare proprio l'insegnamento di un grandissimo designer come Munari , che con una chiarezza disarmante spiega l'essenza del design: osservare a lungo, capire profondamente, fare in un attimo. Complimenti per gli interventi molto interessanti!
Con il termine DESIGN si possono intendere diversi significati:
Progettazione , Disegno industriale, Profilo estetico di un prodotto.
Inoltre, impropriamente, il termine design viene a volte usato per definire un prodotto di qualità o di ricercata personalità estetica.
Con il termine MODA si indicano invece comportamenti collettivi con criteri mutevoli.
Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi.
Il termine moda deriva dal latino modus che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo.
Oggi questi aspetti differenti sono spesso avvicinati fra loro facendone quasi due semplici
sfaccettature del solo concetto di estetica.
Infatti presso la Facoltà del Design, al Politecnico di Milano esiste un Corso di laurea
in Disegno Industriale per la Moda. Sembrerebbe un po’ una contraddizione.
Inoltre a Firenze si tiene un CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN ARTE E MODA
In questo corso si vuole mettere in rilievo come la Moda si è guadagnata un posto importante nelle mostre d'arte e che viene sostenuta dai fashion designers.
E’ a questo punto che Design, Desiner e fashion desiners vengono messi tutti in un unico…calderone!
Personalmente io resto convinto che un conto è parlare “seriamente” di Design e un conto è parlare di Moda.
In conclusione, a mio parere, il Design è essenzialmente espressione di un’armonia estetica che veste la funzionalità, mentre la Moda è essenzialmente ricerca di novità estetica, di stravaganza e soprattutto ricerca di modelli di comportamento “imposti” (più che proposti) per un’esclusività che non pone la funzionalità come il fine primario.
Dove è finito il design italiano? La mia risposta è questa: come molte cose del nostro tempo è finito…nella confusione!
BUON ANNO 2009
Se pensiamo a Teague o a Castiglioni ad esempio, con il loro design, dalla bakelite alla plastica, "facevano moda" non la subivano. Tutti i grandi designer del secolo scorso, erano grandi osservatori dei loro tempi e delle dinamiche culturali che li circondavano, e allo stesso tempo pensatori indipendenti e ricercatori di nuove forme.
Alberto from Los Angeles
Caro Christian, sono perfettamente d'accordo con le tesi da te sostenute. Inoltre, al fine di corroborarle, vorrei mettere in evidenza due fatti diversi e apparentemente lontani tra loro. Il primo riguarda ciò che si rileva nell'ultima biennale di architettura di Venezia. Vale a dire la preponderanza, da un lato dell'"oggetto architettonico firmato" privo di spessore storico, ardito e stupefacente fiore all'occhiello di una qualsiasi amministrazione urbana, da Milano a Kuala Lampur; dall'altro, delle teorie fumose, dei presupposti etici ed estetici, dei cappelli filosofico programmatici illustrati con retorica sovrabbondanza di scritti, sui progetti seriamente contestualizzati nell'esistente delle sconfinate periferie del pianeta e nelle sue mefitiche megalopoli in vista di una loro improrogabile riqualificazione. Progetti che dunque intaccano le logiche dei poteri economici e politici.
In secondo luogo vorrei far notare come in recente spot pubblicitario si enfatizzassero "l'uomo e le sue marche". La storia di un uomo, il suo vissuto sarebbero dunque le sue "marche". Non gli affetti, le passioni, gli ideali, le memorie, ma le sue "marche". Agghiacciante. D'altra parte cosa ci si aspetta da un paese in cui il capo del governo considera i cittadini soprattutto una folla di "consumatori" fermi alle elementari grazie alle sue televisioni (che vomitano sull'utente vagonate di spot come quello citato). Consumare, dunque. L'oggetto non si usa, ma si consuma. Perché? perché appena consumato se ne compra un altro. Ed è consumato, non quando si rompe, ma quando la sua veste,la buccia, l'apparenza cambiano secondo i volubili capricci della moda; fascinosa e leggiadra ancella del mercato più spietato. Ci si dovrebbe ricordare che parole come impiegare, usare, hanno valenza positiva, si riferiscono al fare, all'agire per diventare storia. Mentre "consumare" significa dissolvere, mettere in moto un processo irreversibile e privo di memoria. In un paese dove l'estetica dominante è quella dei parrucchieri in televisione, discipline come il design e l'architettura hanno un solo compito, arduo ed eroico, di esistere e resistere per testimoniare che l'uomo non è i suoi "marchi" e la loro inarrestabile consumazione, ma, come diceva un filosofo fuori moda, il sogno di una cosa. Tanti auguri per il tuo lavoro, Claudio e Novella.
A proposito di Design italiano in declino
Il design italiano nonostante un periodo d’oro negli anni 60/90, ha perso quelle caratteristiche creative e innovative che gli erano proprie. A parte alcune realtà positive, è caduto in una profonda recessione. Non riesce a risollevarsi perché non riesce più a rinnovarsi. Non si rinnova perché tanti produttori non sanno riconoscere il ruolo fondamentale del design nell’innovazione delle loro produzioni. Le aziende produttive in molti casi si perdono in operazioni di maquillage o di decoro su prodotti esistenti , rinunciando a intraprendere la strada della ricerca e dell’innovazione come attività costanti e continuative. .
Il decoro che gli stilisti, italiani e non, fanno su certi prodotti industriali con i loro marchi , creano una falsa opinione facendo passare per design ciò che design non è. La grande quantità di prodotti decorati spacciati per design , creano problemi nell’ambiente locale e globale.
In Italia , il design e i Designers andrebbero promossi, rivalutati ed enfatizzati con azioni efficaci e permanenti , perché solo attraverso seri progetti di design le aziende, le attività, il commercio, l’economia italiana potranno risollevarsi.
I designers creano il desiderio e l’invidia che alimenta l’economia e il cinismo che caratterizza la nostra condizione postmoderna. I designers sono più importanti di quanto si creda, perché se positivi sono in grado di creare benessere, ricchezza e oggetti dell’immaginario collettivo, se negativi diventano più pericolosi di quanto non si possa immaginare perché creano false immagini e falsi desideri propri degli oggetti effimeri “ usa e getta”.
Una soluzione ? Bisognerebbe risvegliare lo spirito critico sul design e il suo impatto sulle persone e sulla società, attraverso azioni informative, attraverso la cultura, le scuole, le università.
Gabi Fois
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